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Infertilità inspiegata e trombofilia

Infertilità inspiegata e trombofilia

Durante la gravidanza l’attività coagulativa del sangue materno aumenta al fine di ridurre il rischio emorragico da parto. Questo processo fisiologico, di contro, determina l’aumento del rischio tromboembolico. Si pensi, per spiegare l’entità del fenomeno, che la trombosi nella popolazione femminile generale è di 1 caso su 1000, durante la gravidanza è di 4 casi su 1000 e che nei 40 giorni successivi al parto è di 40 casi su 1000. Tali modificazioni fisiologiche sono di tipo ormonale [1] e determinano un incremento dei fattori pro-coagulativi, una diminuzione dei fattori anticoagulativi e una riduzione dell’attività fibrinolitica, condizioni tutte di ipercoagulabilità.

In gravidanza, infatti, aumentano i fattori della coagulazione come fattore VIII, fattore vWF, fibrinogeno e fattore VII. Vi è inoltre un aumento dei marker di ipercoagulazione come il D-dimero e il frammento 1+2 della protrombina. Coagulazione e fibrinolisi normalmente ritornano alla condizione pregravidica nelle 3-4 settimane dopo il parto.

Il rischio trombotico in gravidanza aumenta se coesiste condizione di trombofilia [2]. La trombofilia può essere congenita, acquisita e mista. Nell’ambito della trombofilia congenita esistono varianti geniche (mutazioni puntiformi a un singolo nucleotide) che presentano una tale frequenza nella popolazione da essere considerate varianti polimorfiche. I geni da considerare sono il fattore V di Leiden, il fattore II della coagulazione (protrombina) e MTHFR (metilentetraidrofolatoreduttasi).

Lo studio di queste varianti geniche è indicato nei pazienti con precedenti di tromboembolismo venoso/arterioso, nella prescrizione di contraccettivi ormonali, nelle donne con pregressi eventi trombotici in gravidanza, nella poliabortività o precedente figlio con difetto del tubo neurale, nelle gestanti con IUGR, tromboflebiti o trombosi placentare e nei soggetti diabetici.

La trombofilia è frequentemente associata all’aborto ricorrente: fino al 40% delle cause [3]. Le anomalie trombofiliche più frequentemente associate alla poliabortività sono di tipo congenito come fattore II della protrombina, fattore V di Leiden, proteina S, antitrombina, e mutazione del gene MTHFR o di tipo acquisito come nella sindrome da antifosfolipidi. Difetti della emocoagulazione (congeniti o acquisiti) sono maggiormente prevalenti anche nelle donne con fallimenti dell’impianto nella fertilizzazione in vitro [4].

Può la trombofilia essere causa di infertilità? In particolare, può rappresentare un possibile ostacolo all’impianto embrionario e/o al superamento delle prime fasi della gravidanza? 

Questo studio si propone di ricercare l’eventuale presenza di condizioni trombofiliche prevalenti nelle donne di coppie affette da infertilità inspiegata.

Nello studio delle trombofilie congenite e acquisite in donne con diagnosi di infertilità inspiegata è risultato come unico dato rilevante l’elevata prevalenza del polimorfismo MTHFR [6].

Per infertilità inspiegata si definisce una condizione di non raggiungimento di gravidanza dopo un anno di rapporti sessuali fecondanti e dopo aver escluso tutte le possibili cause maschili e/o femminili conosciute.

Uno stato trombofilico può influenzare l’impianto dell’embrione nelle fasi precoci [5]. È stato, infatti, ipotizzato che l’invasione dei vasi e sangue materni uterini da parte del sinciziotrofoblasto possa essere influenzata da microtrombosi locali a livello del sito di impianto dell’embrione, in particolare in condizione di trombofilia materna. Le possibili microtrombosi locali sarebbero causa, conseguentemente, di un insuccesso dell’impianto [5].

In letteratura non esistono pubblicazioni circa l’utilizzo di eparina o ASA (acido acetilsalicilico) nell’infertilita inspiegata ma esistono al contrario nell’aborto ricorrente e nella riproduzione assistita. È noto che l’eparina influenza l’impianto dell’embrione indirettamente con effetto anticoagulante sul sangue e direttamente interagendo con molecole di adesività, fattori di crescita, citochine ed enzimi [7].

È stata valutata l’efficacia di tre differenti modelli terapeutici antitrombotici in donne affette da abortività ricorrente [8]. Lo studio ha messo a confronto l’efficacia di terapie con la sola ASA, con la sola eparina e con l’associazione di ASA ed eparina. I risultati evidenziano che i due gruppi di donne che hanno utilizzato la sola eparina e l’eparina più ASA hanno ridotto significativamente il numero di aborti in maniera sostanzialmente identica con dati sovrapponibili. Le donne che hanno utilizzato la sola ASA non hanno migliorato l’outcome. Questi risultati sono stati evidenti sia in donne positive allo screening trombofilico ma anche in donne negative, suggerendo che la tromboprofilassi sarebbe indicata in donne con aborti ripetuti indipendentemente dal possibile stato trombofilico.

Anche nella procreazione medicalmente assistita la profilassi eparinica migliora l’outcome. Diversi sono gli studi che hanno esaminato gli effetti della somministrazione di eparina a basso peso molecolare in donne trombofiliche che si sottoponevano a fertilizzazione in vitro [9,10].

L’efficacia dell’uso di eparina nella poliabortività e nella riproduzione assistita mi ha fatto considerare la possibilità di un suo campo di impiego anche nella infertilità inspiegata. Ho selezionato per il trattamento donne positive a suddetta mutazione, considerata la prevalenza della mutazione del gene MTHFR nelle sine causa. L’idea è stata quella di sfruttare il doppio ruolo dell’eparina nel periodo post-concepimento. In questa fase l’eparina facilita l’impianto dell’embrione ed evita la formazione di microtrombi del circolo materno fetale.  La terapia prevede la somministrazione di 4000 UI di eparina a basso peso molecolare giornaliere dal periodo del concepimento fino all’attesa mestruazione. La terapia viene sospesa nel caso di sopraggiunto flusso mestruale, invitando a ripetere il trattamento con il ciclo successivo. Nel caso di mancata mestruazione si esegue il test di gravidanza e se positivo si continua il trattamento eparinico.

Da molti anni propongo questo tipo di terapia off-label alle donne MTHFR-positive affette da infertilità inspiegata, oltre che nella poliabortività e nei trattamenti di riproduzione assistita. Il 26 maggio 2012, al Congresso TrombofiliaInfertilità e Gravidanza tenutosi in Ostuni, ho presentato 5 casi clinici di infertilità inspiegata con positività per MTHFR risolti con questo tipo di trattamento.

La terapia con eparina utilizzata da molti Centri di riproduzione assistita e di poliabortività potrebbe quindi trovare un suo spazio anche nella cura delle donne trombofiliche affette da infertilità inspiegata. L’auspicio sarebbe quello di ridimensionare il campo delle sine causa. L’infertilità inspiegata, infatti, non è una condizione patologica che non esiste ma semplicemente una problematica a cui la scienza non è ancora riuscita a dare delle risposte.

(Articolo pubblicato su https://www.fondazioneserono.org/)

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Endometrite cronica e infertilità

Endometrite cronica

L’endometrite cronica (EC) è una malattia infiammatoria continua e subdola caratterizzata dalla infiltrazione di plasmacellule nell’area stromale endometriale, dove è possibile ritrovarle solo nel periodo mestruale e premestruale [1].

La condizione clinica dell’EC non è stata in passato considerata una preoccupazione poiché è spesso asintomatica o presenta per lo più sintomi lievi, come metrorragia, dolore pelvico, dispareunia e leucorrea [2,3]. Si pensava fosse una condizione benigna che non era necessario indagare e trattare in considerazione anche dell’invasività degli esami diagnostici [4]. Tuttavia recenti ricerche hanno suggerito che l’EC influisce negativamente sulla fertilità, proponendo quindi un ruolo patologico per l’EC [5,6].

In generale quando si parla di endometrite ci si riferisce all’endometrite acuta. Le pazienti con endometrite acuta, di solito, presentano sintomi clinici di malattia infiammatoria pelvica (PID) a causa di infezioni [7]. Esse hanno una storia di febbre e dolore addominale inferiore con leucocitosi e/o marcatori sierici elevati.

Ciononostante se la malattia è nella fase iniziale o l’infezione non è grave può essere difficile da diagnosticare in base alle caratteristiche cliniche. La diagnosi in questi casi è istologica. Anche la diagnosi definitiva dell’EC può essere fatta solo istologicamente ed è caratterizzata dall’esistenza di plasmacellule nell’area stromale dell’endometrio, elevata proliferazione delle cellule stromali, maturazione dissociata tra epitelio e cellule stromali, e può essere presente una pronunciata reazione prereciduale [8,9]. È possibile che l’EC sia uno stato di infiammazione persistente che ha fatto seguito a una pregressa endometrite acuta. Tuttavia la relazione tra endometrite acuta e cronica resta da determinare. Non esiste un criterio diagnostico unificato per l’EC accettato in tutto il mondo. La conferma istologica di plasmacellule multiple nello stroma endometriale è considerata, in ogni modo, il metodo diagnostico più affidabile [8-10]. Per quasi un secolo si è pensato che la cavità uterina fosse sterile in condizioni normali [11,12] e che a questo contribuisse la mucosa cervicale in due modi. Da una parte fornendo una barriera impermeabile contro la risalita batterica dalla vagina [13] e dall’altra mediante la produzione di muco da parte delle ghiandole cervicali che bloccherebbe in modo incompleto l’ascensione dei batteri dalla vagina [14,15]. Di fatto recenti ricerche hanno dimostrato la presenza di microrganismi che risalgono dalla vagina, anche nella cavità endometriale di donne sane asintomatiche [16,17]. Pertanto si pensa che questa sia la causa principale dell’EC. All’interno della cavità uterina con EC i principali microrganismi riscontrati sono Chlamydia e Neisseria gonorroea. Sono, inoltre, presenti batteri comuni come StreptococcusEscherichia coliEnterococcus faecalisKlebsiella pneumoniaeStaphylococcus e Mycoplasma/Ureaplasma. La sola presenza di un semplice microrganismo non permette di diagnosticare una EC in quanto la loro presenza è stata dimostrata anche in donne senza EC [18]. Questo suggerisce che il coinvolgimento di microrganismi nell’insorgenza dell’EC e il meccanismo della sua progressione richiedono ulteriori studi. Spesso i batteri riscontrati nell’EC non erano presenti nel microbioma vaginale, pertanto un esame colturale vaginale non può predire il microbioma endometriale nell’EC.

La causa della EC potrebbe non essere necessariamente una infezione ascendente della flora batterica intravaginale oppure la colonizzazione batterica intrauterina, una volta instauratasi, è indipendente dalla vaginale [19]. L’EC modifica la distribuzione e la funzione delle cellule endometriali comprese le cellule immunitarie, le cellule epiteliali e le cellule stromali. Inoltre con l’EC vi è un aumento della contrattilità uterina sia nella fase ovulatoria sia in quella media luteale [20]. Vi sono altresì modifiche aberranti dei recettori ormonali delle cellule endometriali nell’EC che alterano il processo di decidualizzazione [21,22]. Tutto ciò, come conseguenza, influisce sull’impianto e sull’instaurazione della gravidanza. Diversi fattori sono associati all’EC. È noto da tempo che l’inserimento di dispositivi intrauterini (IUD) anche per breve tempo causa EC che persiste anche dopo la rimozione [23]. Fattori di rischio sono multiparità e metrorragia. Polipi endometriali, vaginosi batterica ed endometriosi sono spesso associate a EC [24,25].

La relazione tra EC e infertilità è recentemente emersa come un’importante sfida clinica. Esistono alti tassi di prevalenza di EC nelle donne con fallimento di impianto nelle riproduzioni assistite (RIF) [26,27] e nelle donne con storia di aborti ripetuti [28,29] rispetto alla popolazione di donne normalmente fertili. Uno studio di Johnston-Mc Ananny et al. ha mostrato che le pazienti con EC, confermate istologicamente, affette da RIF avevano un tasso di impianto inferiore rispetto alle pazienti con RIF senza EC. L’effetto dell’EC sull’infertilità rimane poco chiaro. Tuttavia, il trattamento della EC può influire sulla fertilità. Il gold standard per la diagnosi di EC è il rilevamento istologico delle plasmacellule e contemporaneamente è possibile osservare un’elevata proliferazione delle cellule stromali, una dissociata proliferazione tra epitelio-stroma e una pronunciata reazione prereciduale [8,9]. In ogni modo rispetto a questi criteri di rilevamento non esistono protocolli standardizzati. Pertanto è fondamentale impostare un metodo universalmente accettato.

L’isteroscopia viene utilizzata per identificare i segni visivi dell’infiammazione endometriale e sono stati effettuati tentativi per la diagnosi di EC.

Cicinelli et al. hanno proposto i seguenti criteri diagnostici: iperemia, aspetto a fragola, edema stromale e micropolipi. La posizione di questo gruppo è che l’EC è diagnosticata dalla presenza di almeno una di queste caratteristiche, riportando una elevata sensibilità e specificità della diagnosi isteroscopica nella conferma istologica di EC. Tuttavia la diagnosi isteroscopica di EC non è sempre coerente con quella istologica. Pertanto, sebbene l’isteroscopia possa essere utile dovrebbe essere utilizzata solo per assistere la diagnosi istologica di EC.

La terapia standard per il trattamento dell’EC è la doxicillina (200 mg/die per 14 giorni). Regimi di seconda linea sono l’associazione di ciprofloxacina e metronidazolo (500 mg ciascuno al giorno per 14 giorni); ofloxacina (400 mg/die per 14 giorni) e metronidazolo (500 mg/die per 14 giorni); ciprofloxacina (1000 mg/die per 10 giorni) e amoxicillina+acido clavulanico (2 g/die per 8 giorni); iosamicina (2 g/die per 12 giorni) e minociclina (200 mg /die per 12 giorni). L’utilizzo di queste terapie ha permesso di curare le pazienti affette da EC [30,31] e ha anche chiarito l’efficacia del suddetto trattamento per la fertilità.

Studi prospettici [19] e retrospettivi [29] hanno dimostrato un tasso più alto di gravidanze nelle pazienti con RIF e una riduzione della poliabortività nelle donne trattate rispetto a quelle non trattate per EC.

Le difficoltà diagnostiche dell’istologia, basata su criteri non universalmente accettati, dell’isteroscopia che necessita di conforto istologico, e la loro relativa invasività rendono complicato, nella pratica clinica, la diagnosi e la cura dell’EC nelle pazienti infertili.

La presenza di batteri nella cavità uterina è spesso associata a EC. Per cui l’esame colturale positivo anche se non sempre confermato dall’istologia e/o dall’isteroscopia può essere, a mio avviso, una strada percorribile nella diagnosi e cura dell’EC. Da molti anni propongo, nell’iter diagnostico per infertilità, di eseguire l’esame colturale dell’endometrio. Detto esame viene, inoltre, consigliato nel mio centro anche alle pazienti che si sottopongono a procedure di PMA e alle pazienti affette da poliabortività.

L’endometriocoltura è un esame semplice, non invasivo e facilmente ripetibile. Il metodo, da me utilizzato, prevede la detersione iniziale della vagina, l’utilizzo di una cannula per inseminazione endouterina collegata a una siringa che introduco attraverso il canale cervicale in cavità uterina. In fine si procede con l’aspirazione di frustoli di endometrio che trasferiti in terreno di coltura vengono inviati per l’esame colturale. Il limite dell’endometriocoltura è dato dalla possibile positività non corrispondente a una effettiva EC dimostrata istologicamente. Pertanto questa procedura potrebbe portare a trattamenti non necessari.

Di contro, poiché le endometriti sono causate da infezioni, un esame colturale positivo mi permette di trattare sempre e comunque l’EC. È possibile, inoltre, un trattamento mirato grazie alla esecuzione dell’antibiogramma.

Numerose donne affette da infertilità, trattate dopo una endometriocoltura positiva, hanno beneficiato della terapia e potuto avere gravidanze a termine.

(Articolo pubblicato su https://www.fondazioneserono.org/)

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